06/11/09

lettera sulla rivoluzione

La rivoluzione, amore mio, è bianca e trasparente.
Non è nera, non è buia, non è sotterranea o armata o violenta.
Ciò che è torbido e scuro, strisciante e nascosto, rabbioso ed egoista è il conformismo, la "normalità", la brutalità rozza che abbiamo nelle vene... e non si sa da dove viene.
E' il lento avvelenamento della nostra umanità che inizia, come una gocciolante trasfusione, poco dopo i primi mesi di vita del bambino, è un veleno così strisciante e vischioso che si infila nelle fessure delle nostre case, in quello che crediamo più intimo e protetto, nei nostri pensieri più "rivoluzionari" e preziosi, nelle nostre strategie di combattimento dell'autoritarismo, nel nostro senso di giustizia, nell'amore prezioso che proviamo delicatamente a regalarci a vicenda, nello sguardo di un padre verso il figlio.
Sento il bisogno di dire da tanto tempo qualcosa che tutta la generazione di "guerrieri contro il sistema" che io conosco rifiuterebbe, mi bollerebbe come fatalistico e disfattista, come un pensiero senza speranza... mentre io penso che proprio in questo sta la porta della nostra liberazione: credo che l'attuale sistema sia il figlio mostruoso di noi tutti, colui che ci divorerà (e non voglio parlare di edipo, perche io alla fine non l'ho mai veramente conosciuto) come un virus, dall'interno, e non come un padrone cattivo che ci uccide a frustate. Penso che combattere i "padroni" è semplicemente una necessità legata alla sopravvivenza materiale, ma penso anche che alimenta questa patetica convinzione che sono loro ed esclusivamente loro la causa del nostro male... mentre noi continuiamo ad atteggiarci a vittime. Credo che il vittimismo sia uno tra i principali veleni che ci devitalizzano e rendono impotenti.
Penso che la porta della liberazione sia l'abbandono del vittimismo, questa porta si apre su un viale ampio e luminoso: il viale della trasparenza.
Trasparenza con sé stessi, prima di tutto, e con gli altri. Praticare un esercizio d'individuazione e di devitalizzazione dell'iniziale impulso giudicante: in fondo quello che più ci umanizza è proprio l'errore... intendo (e non è affatto facile da spiegare): quello che ci salva è la capacità di emozionarci, emozionarci nella com-prensione - COMprendere come prendere insieme, accogliere in noi emozionandoci.
Colui che prova piacere nel rifiuto, nell'allontanamento del diverso da sé, non ha comprensione ma rende impotente la comunicazione devitalizzandola, non alimenta una ricchezza intellettuale ma instupidisce, si mostra pavido e alimenta paure inconsistenti, si copre con un'armatura di durezza che ad uno sguardo non superficiale si rivela soltanto assenza, un'identità friabile tenuta insieme soltanto grazie ad una continua riaffermazione di potenza. E' possibile pensare di sciogliere queste identità violente con la dolcezza? versando acqua nelle fenditure dei deserti...
Emozionarsi nella COMprensione vuol dire accettazione, allontanamento dalla colpa, dai sensi di colpa, ma non deresponsabilizzazione... è complicato... emozionarsi nella COMprensione vuol dire anche essere così impavidi da essere in grado di dirsi: "ho sbagliato, non sono perfetto, non sono l'eroe buono". Quindi: "non sono il centro del mondo, colui attorno al quale la storia e tutti gli altri personaggi ruotano". Essere così COMpresi da dirsi "non sono l'eroe, ma questo non significa che io sia la nullità: o sei il centro, o sei niente... non è così che funziona".
Il fatto è che sei, con estrema e banale semplicità, adesso sei al mondo e quello che conta è la qualità e intensità della vita che riesci a regalarti ogni giorno, quardando a ciò che senti buono.
Buono...? Com'è legata alla religione cristiana questa parola! Eppure non possiamo evitare d'usarla. Buono per me non è il contrario di cattivo... buono è ciò che è rivolto alla vita, un venire all'essere.
Cerco di imparare a guardare la vita con dolcezza, senza vittimismo, con amorevolezza verso ciò che è vivo fuori da me, con rispetto e accettazione di ciò che è vivo dentro di me. Rifiuto l'autoimposizione di punizioni, metto in pratica il più possibile l'assenza di odio, cerco quotidianamente di ricordare a me stessa che, sebbene io sia naturalmente il centro della mia vita, questa non è per gli altri un "evento mitico".
Forse la cosa più importante da capire della vita è proprio che ci COMprende tutti, per sempre, insieme, nello stesso moto di lentezza senza giudizio.
Ma da che parto nasce il giudizio?

Quello che scrivo è profondamente radicato in me, ma non lo ritengo un pensiero finito.
Mettersi in gioco, puntare sulla relazione, pensare che molte teste sono meglio di una significa essere disposti a mettersi in discussione, ma posso perdere tempo a discuterli con chi non fa neppure un tentativo di COMprendermi?
L'obiettivo è sempre la condivisione: inserirsi in un processo comune, su un terreno orizzontale in cui il sé e l'altro pesano allo stesso modo... di certo non è una cosa semplice. Credo sia simile ad allevare insieme un figlio.
Credo che non bisogna mai trattenersi nel dare... e forse questa è la più importante strategia di liberazione.

Io che sono imperfetta, cerco di tendere alla perfezione, anche se so che non posso incarnarla: questo è il mio più grande narcisismo.

Io imperfetta non ho consigli da dare sulla tua vita.
posso solo regalarti quello che sento...

La rivoluzione è un moto che parte dall'interno.

"LA BELLA LENA"



La bella Lena è la storia di un viaggio fatto per amore, per fame, per fame di amore e di vendetta.
E' una lotta dichiarata contro la morte, quella fisica e quella provocata dalla cancellazione della dignità umana e dall'oblio.
La bella Lena è voler ricordare a tutti i costi.
Dal buio alla luce: chi è reale in questa storia resta al buio per molto tempo, mentre i fantasmi, i ricordi, il sogno sono in piena luce. Realtà e ricordo si capovolgeranno, fino a lasciare spazio alla consapevolezza.
La bella Lena è la storia di una ripetuta violenza subita e non dichiarata per paura, per vergogna o perchè semplicemente si fa finta che non sia successo niente. Lena è in fuga, sta scappando dal suo nemico anche se in realtà ne porta dentro di sé il frutto. Per quanto voglia scappare dovrà affrontarlo, prima o poi. Nella sua fuga incontra Soledad, uomo che si è fatto donna e che la accompagnerà fino alla fine del suo viaggio e oltre. Poi c'è Salvatore (di Baia o Baìa) che è il futuro e il frutto del ventre di Lena, c'è un quaderno-diario che legherà questi tre destini e la cui scoperta sarà la causa scatenante di questo viaggio della memoria. La vecchia capera è la voce del coro-giudice, perbenista e bigotta.
E ci sono i treni mai presi e le stazioni dove si resta bloccati, come in un ricordo.
Poi, un giorno, succede qualcosa e quel ricordo diventa il motivo per salire al volo su un treno e continuare a vivere.




Immagini:





05/11/09

"GLI ALBERI DI PINOCCHIO" - Spettacolo itinerante

CON: Monica Costigliola, Valentina Carbonara, Cristina Messere, Adele Amato de Serpis, Antonella Migliore

COSTUMI e SCENE di Arianna Pioppi e Monica Costigliola

REGIA di Giovanna Facciolo













BOZZETTI dei COSTUMI (di Arianna Pioppi)







Presso: ORTO BOTANICO - via Foria 223 - Napoli

forme nel granito

tre disegni dalle formose rocce di granito dell'isola di Caprera
(arcipelago della Maddalena)